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Nuove parole per il futuro: isocrazia ovvero uguaglianza di potere.

Riporto integralmente ‘Il commento della settimana’ di Moni Ovadia che ho appena letto sulla newsletter settimanale del Manifesto (Lunedì Rosso de l’8 febbraio 2021), perché ritengo molto interessante l’idea che, per immaginare orizzonti alternativi e costruire un nuovo futuro, si debbano anche cercare nuove parole.

“Il dibattito aperto su il manifesto il 19 dicembre 2020 da Stefano Bonaga e Pier Giorgio Ardeni su politica democrazia e società, facendo perno sul concetto assai ficcante di isocrazia, è il primo segno, da molto tempo a questa parte, che c’è vita fra coloro che fanno del pensiero uno strumento di elaborazione progettuale.

Ed è fra quel «popolo» che pensa per motivi di studio, di lavoro o di vocazione, che la politica in quanto edificazione di polis e societas può risorgere. I corpi intermedi per definizione, ovvero i partiti e similia, non sono più tali. Progressivamente si sono trasformati in caciccati di potere, in imprenditori di se stessi come bene è stato scritto da Nadia Urbinati.

Hanno sposato la politique politicienne (la vera antipolitica) che consiste nell’occupare tutti i posti di potere a loro disposizione per guidarli con l’arbitrio dei loro interessi di bottega e nel trascorrere il tempo «politico» in pseudo scontri sul nulla per legittimare il loro ruolo in pletorici talk show, sempre uguali a loro stessi che sono pura camera di risonanza del vuoto pneumatico che abitano.

La società e i territori non rientrano nei loro interessi se non quando pensano ti poter ricavare vantaggi elettoralistici, mostrando un interesse strumentale. In queste condizioni emergono gli uomini peggiori e, che Matteo Renzi sia diventato segretario di un partito che ancora ha l’improntitudine di definirsi di centro-sinistra ne è la prova provata.

Dal canto loro gli uomini migliori che ancora vagano nei partiti per senso di fedeltà, per incredulità nei confronti del disastro, per sentimentalismo irriducibile, o sono degli zombie, o sono ridotti all’insignificanza. Il caso di Fabrizio Barca nella sua travagliata relazione con i democratici è paradigmatico. Rebus sic stantibus è pensabile di riparare i guasti esiziali di ciò che per routine si continua a chiamare democrazia come se i cittadini esprimessero una qualche potenza politicamente misurabile?

A mio parere assolutamente no. Quale costrutto si può trarre dalla politica dei partiti? Alcuno perché essi hanno perso, chi più chi meno, ogni rapporto autentico con i cittadini. È dunque necessario partire dal basso, ma non solo; è necessario rivoluzionare anche il linguaggio politico che la politica politicista ha reso asfittico trasformandolo in un gergo aziendalista partitico, espungendone il nerbo del coinvolgimento, della passione, del sogno, dell’orizzonte ideale verso cui tendere.

Per questa ragione il termine isocrazia proposto da Bonaga ha un timing perfetto. È tempo di scompaginare le consuetudini inveterate ci incastrano nel già detto e sentito, è tempo di rimettere in questione concetti spossati dall’uso meccanico e dall’abuso mediatico è tempo di tornare a studiare per anticipare le trasformazioni e mettersi alla testa dei processi di cambiamento invece di rincorrerli con la lingua a penzoloni finendo per subirli passivamente invece che orientarli verso obiettivi di senso. L’idea di isocrazia e la parola stessa susciteranno in prima battuta reazioni di perplessità e dubbi, di ripulsa e con questo?

Forse che al suo apparire non determinò le stesse reazioni il termine democrazia.

Ma ormai quest’ultima ha perso il suo portato dirompente, ha un sentore di raggiro, evoca meccanismi che in realtà spogliano e defraudano i cittadini della loro potenza politica, li condannano al ruolo di pedine di un gioco progettato a monte del loro sentire, delle loro opinioni, e posto in atto a valle dei loro bisogni, del modo in cui vedono il mondo in cui vogliono vivere e in cui vogliono che vivano i loro figli.

La società reale vede la presenza di molte realtà organizzate che operano politicamente e spesso con straordinaria efficacia. Si pensi al terzo settore i cui attivisti vanno incontro alle esigenze dei cittadini, vicariano uno stato assente non solo per offrire sostegno materiale e servizi, ma anche per garantire una presenza attiva di fronte all’assenza delle istituzioni.

Ci sono movimenti e organizzazioni che ogni volta si mettono in campo per la politica che edifica società, che vigila sul rispetto di diritti e della dignità che rimette in campo i grandi temi su cui si gioca il futuro di tutti noi.

E da ultimo i luoghi di studio, le università, gli atenei, le scuole, fucine dei saperi e di possibili classi dirigenti che spezzino le mediocri e squallide catene delle cooptazioni, dei nepotismi, dei clientelismi, delle corruzioni generatrici dell’humus che concima la classe del governo autoreferenziale e mera imprenditrice di se stessa”.

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